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Jesi 9 maggio 1978, l’assassinio di Moro nelle parole di allora del dottor Alvise Cherubini 

Ricorre oggi, Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi, il 46° anniversario dell’uccisione del presidente della Dc, ripercorriamo quei tragici momenti nel discorso in Consiglio comunale del medico jesino amico di gioventù dello statista

Jesi – Durante la cerimonia di conferimento della cittadinanza benemerita alla memoria di Aroldo Cascia, avvenuta lo scorso 27 febbraio durante la seduta del Consiglio comunale, il prof. Ero Giuliodori – per sottolineare il livello di personalità del tempo in cui era stato Sindaco – ebbe modo di richiamare l’intervento che il dottor Alvise Cherubini fece in Consiglio comunale all’indomani dell’assassinio di Aldo Moro. 

Oggi, nell’anniversario del ritrovamento del corpo dello statista democristiano – avvenuto il 9 maggio 1978 – e Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi, istituito nel 2007 da Parlamento, abbiamo recuperato quell’intervento del dott. Cherubini che con Moro aveva condiviso l’esperienza giovanile di impegno nel mondo cattolico. 

Parole, quelle del medico scomparso nel 2012, che confermano perfettamente il pensiero di Giuliodori. Eccone il testo.  

Signor Sindaco, Signori Consiglieri, Cittadini. Il crimine iniziatosi il 16 marzo si è barbaramente concluso. L’eco immediato che l’assassinio di Moro ha avuto nel mondo delinea le dimensioni della tragedia. Non abbiamo l’animo di indugiare troppo su di essa e di dire in questo momento molte parole, sentendoci spinti al silenzio, al raccoglimento, alla meditazione. Ma non possiamo tralasciare di dire una parola su quelli che ci sembrano i due aspetti essenziali di questa tragedia: l’aspetto morale e l’aspetto politico

Circa l’aspetto morale rivediamo ancora l’immagine di Aldo Moro davanti al drappo delle Brigate Rosse, lo sguardo pensoso e sofferente, il volto piegato in atteggiamento di consapevole rassegnazione. Quell’immagine ci richiamò quella dell’Ecce Homo, ci parve di rivedervi il Cristo coronato di spine, presentato da Pilato alla folla dall’alto del suo pretorio. 

Ecco l’uomo: ecco l’uomo buono e giusto, mite e generoso, vittima innocente delle Forze del male, in attesa di essere sacrificato per il bene di tutti. Abbiamo accompagnato spiritualmente quest’uomo nel suo lungo calvario di oltre cinquanta giorni, vissuto sotto il pieno e incontrollato dominio dei suoi carcerieri, in quell’ambiente infernale di segregazione assoluta e di tortura per lo meno morale, resa indicibilmente acuta dalla sua sensibilità vivissima.

L’abbiamo visto e accolto morto, abbandonato su un’auto da coloro che lo avevano ucciso. In questa immagine emblematica di un corpo senza vita e di carnefici ritornati nell’ombra, può oggi configurarsi ed esprimersi l’eterna lotta tra il bene e il male, che è immanente alla storia: una lotta che non può spiegarsi soltanto con motivi sociali e politici. Le sue motivazioni sono più profonde, toccano l’intimo dell’animo, attingono la sfera morale. Forse era questa presenza del male immanente alla storia a venare di una certa mestizia lo sguardo di Aldo Moro, ben prima che la tragedia si addensasse sul suo capo.

Ma non è ineluttabile che il male prevalga. Può vincere il bene quando questo s’incarni in uno degli uomini più degni, il quale sia offerto in olocausto, vittima innocente, espiatrice di colpe diffuse, capace di superare il male con il bene. 

Questo mistero del male nella storia, che oggi si è espresso nell’assassinio di un giusto, non può farci profondamente pensare. Ma quanto si è detto ci assicura che dalla morte di Moro viene una voce non di disperazione, bensì di speranza.

Circa l’aspetto politico della tragedia si deve rilevare che la vita politica del nostro Paese, resa difficile dal terrorismo, dalle conseguenze del lassismo e del permissivismo, dalla disfunzione di varie strutture dello Stato, diviene o può divenire più difficile per la scomparsa di un uomo che era il supremo sagace moderatore della cosa pubblica, punto autorevole di riferimento per le varie forze politiche.

Privo di una guida illuminata ed equilibrata, attenta ad ogni evento, attenta soprattutto al nuovo, capace di comporre in una superiore sintesi politica esigenze e spinte diverse e talora contrastanti, di intuire i tempi futuri, il Paese può avere dinanzi a sé giorni difficili.

Potranno essere superati se da parte delle forze politiche, sindacali, sociali, culturali, si saprà raccogliere la lezione di Moro, si saprà cioè andare avanti guardando più all’interesse generale che al particolare, procedendo con intelligenza, con prudenza, con spirito di collaborazione nella distinzione, evitando di forzare i tempi e di accentuare le tensioni.

L’alternativa non è oggi tra questa e quella forza politica che si riconosce nella Costituzione, ma tra lo Stato democratico e il caos, tra il progresso verso la civiltà ed il regresso verso la barbarie.

© riproduzione riservata

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