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Cronaca

Jesi Edison: «Se l’impianto non rispetta le norme ambientali non si farà»

Il Gruppo risponde alle osservazioni dell’inchiesta pubblica, intanto arriva anche il no della Regione ma in Conferenza dei Servizi conterà solo il giudizio tecnico e non gli indirizzi politici

Jesi – «Abbiamo ascoltato il vostro no forte e deciso. L’impianto non lo volete, questo è chiaro, le normative sull’ambiente sono materia abbastanza recente, il nostro Gruppo lavora per rispettarle e se questo impianto fosse davvero insalubre, secondo le norme ambientali vigenti, allora non lo faremo».

Si era conclusa così la seconda e ultima tappa dell’inchiesta pubblica, svoltasi lunedì pomeriggio all’Hotel Federico II, relativa al progetto di realizzazione dell’impianto rifiuti presentato da Edison in zona Zipa, con le parole di Roberto Ronca, direttore Smart Cities & Tertiary a chiudere la lunga carrellata di interventi della cittadinanza, con la promessa di mettersi a lavoro per rispondere alle domande di tutti.

Sono proprio i vertici del Gruppo a raccontare come hanno vissuto la due giorni di inchiesta pubblica e come affronteranno il diniego della popolazione e dei gruppi politici jesini, che ormai hanno scansionato il progetto parola per parola, individuandone punti critici e mancanze, sollevando perplessità e domande, con interventi più o meno tecnici, osservazioni e contestazioni e che alla fine hanno dimostrato soprattutto la compattezza del fronte del no.

Dottor Ronca, nel corso dell’inchiesta pubblica sono state sollevate tante tematiche, alcune anche molto tecniche, come l’errata destinazione d’uso dell’area su cui sorgerebbe l’impianto, le considerazioni sull’impatto ambientale, come pensate di rispondere?

«Eravamo qui per ascoltare, dopo una prima parte dell’inchiesta dedicata a informare la cittadinanza sulle caratteristiche del progetto, in cui avevamo la necessità di fare chiarezza su tanti aspetti dell’impianto di cui i cittadini non erano a conoscenza o che non erano stati comunicati in modo adeguato. Ora toccava a noi accogliere le osservazioni della città. Gli argomenti sollevati sono stati tanti, ma una buona parte trovano risposta nella presentazione che avevamo fatto venerdì scorso. Per quelle più tecniche avremo modo di approfondire e di rispondere quanto prima».

«Alcuni temi sono imperanti, come la richiesta di trasparenza da parte del Gruppo ma anche e soprattutto la localizzazione dell’impianto e il tema amianto, che metterei tra virgolette perché, come già detto, questo impianto non nasce per trattare l’amianto, c’è solo una piccola linea dedicata a questo trattamento e serve per poter ricevere anche quei terreni inquinati che presentano tracce di fibra di amianto ma inferiori all’1%. Ciò significa che se la quantità rilevata fosse superiore, allora il terreno non sarebbe portato a Jesi ma destinato altrove».

«Poi sono state avanzate alcune riflessioni nuove che saranno di certo integrate e arricchiranno la nostra relazione tecnica e verranno tutte prese in considerazione, l’inchiesta pubblica ha proprio questa finalità, di ascoltare e di confrontarsi su temi che vanno oggettivamente riportati nel contesto opportuno. Anche se avremmo potuto dare molte risposte già stasera».

Rispetto a chi ha sollevato il problema dell’impatto ambientale elevato se rapportato ai benefici che lo stesso comporterebbe per il territorio, cosa rispondete?

«Se la domanda riguarda il danno alla salute dovuto all’impatto ambientale dell’impianto, dal nostro punto di vista posso dire che il progetto è stato concepito nel rispetto delle attuali normi vigenti in materia. Se ci sono poi delle incongruenze a livello amministrativo sulle destinazioni d’uso è sicuramente un aspetto da chiarire con Provincia e Comune, ma sottolineo che se l’iter ha raggiunto una fase avanzata è perché le tappe precedenti sono state approvate. Che vantaggi comporterà l’impianto? ne abbiamo accennati diversi. Primo fra tutti diamo una risposta a qualcosa che attualmente nel territorio manca, cioè il trattamento di questi terreni e di questi liquidi, è un bisogno che il risanamento ambientale porta con sé».

«Il bilanciamento tra sostenibilità sociale e ambientale è difficile da perseguire, noi cerchiamo di ottenerlo in tutti i nostri progetti. Le ricadute sul territorio dal nostro punto di vista sono prima di tutto ambientali, perché risaniamo e creiamo l’opportunità dell’end of waste, di riciclare gran parte di questi terreni e liquidi che altrimenti sarebbero portati in discarica».

«E se guardiamo alle prospettive di cambiamento normativo dei prossimi anni, presto non sarà più possibile portarli in discarica perché ci sarà da rispettare un obbligo. In termini economici, ci saranno una cinquantina di lavoratori in più, poi ci sarà una ricaduta sull’indotto. Parliamo di un investimento di 50 milioni che ricadrà, per il 70-80%, nella regione delle Marche. Anche le imprese avranno un vantaggio, un costo di smaltimento inferiore, data la prossimità dell’impianto, pensiamo anche solo alla riduzione del costo del trasporto».

Tornando all’amianto e alle fibre più inquinanti, come garantirete la sicurezza nella gestione degli stessi all’interno dell’impianto e nel trasporto su strada?

«Le emissioni zero non esistono, ma noi sul tema delle fibre di amianto in atmosfera siamo molto selettivi, imponiamo una doppia sezione di filtraggio che si chiama filtro zero assoluto, i limiti della norma sono due fibre, ma in realtà nei nostri impianti puntiamo allo zero. Adottiamo le stesse tecnologie delle sale chirurgiche, nel progetto sono previste le migliori tecnologie possibili».

«Quanto alla sicurezza del trasporto di tali materiali – ha aggiunto Alessandro Balducci, consulente Edison -, il trasporto dei rifiuti avviene attraverso mezzi autorizzati a farlo e che sono attrezzati per questo tipo di trasporto e vengono tracciati da Edison. Nel caso dei terreni contaminati da amianto presso il cantiere viene effettuata la caratterizzazione e quindi l’analisi degli stessi, stabilendo il livello di contaminazione ed Edison si preoccupa di verificare se quel tipo di terreno potrà essere idoneo per l’impianto, se rispetta il famoso 1% di soglia».

«Se l’amianto è in quantità superiore, quel tipo di terreno non viene gestito e quindi rimane nel cantiere e viene destinato ad altre tipologie di impianto. Nel momento in cui il terreno attraverso le procedure di controllo, che sono condivise con gli enti perché autorizzati dagli stessi, viene ritenuto idoneo, allora avviene il confezionamento presso il cantiere in contenitori chiusi e sigillati, che vengono consegnati alle aziende di trasporto idonee. I camion che viaggiano con merci pericolose devono sottostare a una normativa specifica, anche ai conducenti è richiesta una formazione specifica sul trasporto di merci pericolose. Da quel momento in poi il mezzo, sottoposto anche a tracciabilità, parte con i sacconi etichettati, evidenziati, imballati e arriva all’impianto».

C’è chi ha parlato del fatto che l’impianto sorgerebbe in un’area che non è di vostra proprietà e siete solo affittuari.

«La politica dell’azienda a fronte di investimenti importanti è di mantenere gli impianti nel lungo periodo, ricerchiamo l’upgrade continuo dell’impianto, dunque le migliori tecnologie non vengono utilizzate solo per la prima installazione, ma le manteniamo vive, ricercando le migliori le performance nel rispetto dei valori di legge. Non è nel nostro interesse tenere un impianto fermo».

A chi ha chiesto se le emissioni sono controllabili in tempo reale, cosa rispondete, dott. Baldassarre?

«Le emissioni si possono monitorare costantemente e il monitoraggio può essere affidato anche a un ente terzo, come facciamo in altri impianti. Poi ci sono enti pubblici preposti a questo tipo di controlli».

«Io vorrei ritornare sulla questione dell’amianto, che l’impianto tratterà in modo marginale se considerate che dentro un impianto da 280mila tonnellate complessive ci sarà una linea di 10mila tonnellate che potrà accogliere terreni contenenti fibre tra cui anche amianto in una misura non superiore del 1%. Però vorrei sottolineare che le fibre di amianto che trattiamo vengono sottratte all’atmosfera. Uno studio dell’Osservatorio nazionale indica che in Italia ci sono ancora 40 milioni di tonnellate di amianto da rimuovere, stiamo parlando di 700 kg per ciascuno di noi, che stanno sulle strade, nei giardini, nelle scuole, negli ospedali, nelle biblioteche, nelle case, in tutti gli edifici pubblici».

«Per cui in realtà il rischio di inalarlo ce l’hanno di più i nostri figli quando vanno a scuola e non i vicini di un impianto che ha tutti i presidi di sicurezza per isolarlo. Quindi, questo impianto sottrae un elemento che fa ammalare la gente, neutralizzando qualcosa a cui nella vita quotidiana siamo esposti di continuo».

Dott. Ronca e dott. Giolitti volete aggiungere qualcosa?

«Per il Gruppo Edison il rispetto ambientale e sicurezza sono al primo posto, e vanno oltre al business, abbiamo valori in cui crediamo e un brand da preservare, fondato sulla serietà e sulla sostenibilità della nostra azienda».

«No, sull’etica non si scherza, si risponde penalmente ai danni ambientali e non ci prenderemmo di certo la responsabilità di un progetto, se non fossimo pienamente sicuri, di poter garantire ai lavoratori, ai dipendenti terzi, ai cittadini e all’ambiente un pieno rispetto delle norme. Poi, è chiaro che la realizzazione di un impianto possa sollevare opposizioni e anche giuste riflessioni da parte di tutti. Osservazioni a cui abbiamo intenzione di rispondere come abbiamo sempre fatto».

Intanto ieri il Consiglio regionale ha espresso il suo no all’impianto votando all’unanimità la mozione a iniziativa del Presidente del Consiglio, Dino Latini, e della consigliera jesina Linda Elezi (bocciato, invece, l’odg del Pd).

Il documento impegna a esprimere contrarietà all’insediamento Edison, da parte del Presidente Francesco Acquaroli e dell’assessore all’ambiente Stefano Aguzzi.

Atto che si è allineato con quello già espresso dal Consiglio comunale ma – come ha fatto notare lo stesso assessore Aguzzi – di indirizzo meramente politico.

Il voto che conta, in Conferenza dei Servizi, dovrà essere tecnico, vale a dire sulla base del rispetto delle norme vigenti, degli elementi che non inquadrino il progetto in una situazione contra legem.

Quindi, lo scenario cambia.

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