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Fabriano Alessandro Moscè, vocazione poetica

Il poeta, scrittore e giornalista fabrianese protagonista domenica a Sassoferrato nell’ambito del festival “Marchestorie”

Fabriano – Alessandro Moscè, poeta, scrittore e critico nato ad Ancona ma da sempre residente a Fabriano, è stato protagonista di un tour estivo di letture poetiche tra San Benedetto, Senigallia, Montegranaro e Maiolati nell’ambito del Festival “MarcheStorie”.

L’impegno di Moscè proseguirà anche a Sassoferrato, dove parteciperà all’inaugurazione del progetto “Poesia, il dono silente” sempre all’interno del festival “Marchestorie”.

A Sassoferrato l’appuntamento è fissato per domenica 8 settembre, alle 10.30 con un omaggio a Raul Lunardi a vent’ anni dalla sua scomparsa.

Prevista una riflessione sulla sua poetica: “Conversazione a più voci su Raul Lunardi”a cura di Alessandro Moscè, presso la Chiesa di San Michele Arcangelo.

Nelle Marche ha inoltre ambientato anche l’ultima raccolta poetica dal titolo “Per sempre vivi” pubblicata dall’editore Pellegrini.

Cosa rappresentano le Marche nella sua scrittura?

«La formazione letteraria, ma anche il tessuto vivo della scrittura creativa. Nelle mie poesie figurino i centri urbani di Ancona e Pesaro, la marina di Porto Recanati, il paesaggio collinare di Fabriano, i cimiteri di campagna di Attiggio e Sant’Elia, il Monte San Vicino, i borghi nell’area appenninica con i monasteri dove non vive più nessuno».

Hanno realizzato un documentario sulla sua produzione letteraria. Di cosa si tratta?

«Il titolo è “Le ombre parlano”, a cura delle Frost Produzione, dove parlo e leggo nei luoghi. Le città e i borghi respirano nelle mie pagine. Dal Duomo di San Ciriaco a Piazza del Plebiscito, al porto di Ancona, ci spostiamo nell’ex manicomio di via Cristoforo Colombo dove ho ambientato il romanzo “Le case dai tetti rossi” edito da Fandango. Arrivo a Fabriano e ai giardini pubblici, luogo esistenziale, meditativo e notturno. La casa è il nucleo di una poesia domestica, sabiana, dove emergono gli affetti familiari e in particolare le figure dei nonni. Quelli paterni abitavano in via Pizzecolli ad Ancona, a pochi metri dallo studio del grande Franco Scataglini, colui che coniò il concetto di residenza in un luogo alienato come tutti gli altri, sia esso provinciale o metropolitano. Anche Francesco Scarabicchi, l’altro anconetano, ha scritto testi poetici tra suoni e contenuti memoriali racchiusi in spazi ristretti eppure infiniti, leopardiani. Provengo da questa linea lirica ed esistenziale che stando alla contemporaneità ha avuto inizio con il cuprense Luigi Bartolini ed è proseguita, tra gli altri, con l’urbinate Umberto Piersanti e i maceratesi Remo Pagnanelli e Guido Garufi».

La poesia ha ancora un pubblico?

«Certamente, ma va implementato. Debbono essere create occasioni d’incontro, letture, readings, festival. A Fabriano, in vent’anni, ho invitato più di cento poeti, i migliori italiani, e sono nati libri, premi. Del resto la poesia greca è sorta per essere espressa dinanzi ad un uditorio e accompagnata da uno strumento musicale. Le Marche, da questo punto di vista, sono foriere di una tradizione eccellente maturata specie nel secondo Novecento. Bisogna tornare ai testi e all’emozione del trasmetterli ad una platea perché il lettore, nel poeta, possa riconoscere sé stesso. Centinaia di persone stanno affollando il festival “MarcheStorie” dedicato proprio alla poesia, ed è un segnale molto incoraggiante».

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