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Cronaca

Jesi Arrestato vandalo del santuario, padre Adrian: «È una persona da aiutare»

Danneggiati dipinti e statua di San Pio, messale strappato, microfono distrutto, furto, il rettore delle Grazie: «Dobbiamo prenderci cura di chi ha bisogno, come questo giovane autore degli sfregi, che vorrei incontrare»

Jesi – Un cuore, una lacrima, la scritta Peace, questi gli sfregi lasciati dal 30enne di Chiaravalle, italiano, che nel pomeriggio di venerdì scorso è entrato nel Santuario della Madonna delle Grazie, in Corso Matteotti, per compiere la sua opera, che gli è costata l’arresto con accompagnamento al carcere di Montacuto in attesa della convalida di oggi da parte del Gip del Tribunale dorico.

Contestato l’Articolo 518 duodecies del Codice penale relativo a chiunque distrugge, disperde, deteriora, o rende in tutto o in parte inservibili beni culturali propri o altrui. Pena prevista la reclusione da 2 a 5 anni con la multa da 2.500 a 15mila euro. Al danneggiamento aggravato si aggiungono anche furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale

I tre dipinti danneggiati sono considerati beni culturali, di cui uno – quello di Sant’Antonio da Padova – è anche inserito nell’inventario fatto nel 2019. Il danneggiamento aggravato riguarda la statua di San Pio, non di interesse artistico culturale. Quindi, il furto di una bottiglia di vino dalla sagrestia, un microfono e una candela elettrica danneggiati.

Un episodio di vandalismo che avrebbe potuto lasciare spazio a rabbia e frustrazione, per la legge degli uomini, ma che si è trasformato in una lezione di perdono e compassione per quella di dio.

I fatti

Il rettore del Santuario, padre Adrian Timaru, venerdì di ritorno da Senigallia, aveva ricevuto la chiamata dai Carabinieri i quali lo informavano di alcuni danni nella sua chiesa.

«C’era un capitano che mi aspettava in chiesa, mi ha detto che una persona era entrata e aveva causato danni», racconta.

Il danno materiale è consistito in una statua di Padre Pio con i piedi spezzati, pagata circa 2.500 euro con le offerte, probabilmente nell’atto di scaraventarla a terra si è staccata la parte inferiore. Poi il quadro del Sacro Cuore, «sfregiato con il disegno di un cuore, la scritta Peace e una lacrima che scende, e un quadro di Sant’Antonio su cui è stato fatto un segno sul ginocchio del bambino. C’era anche cera sparsa sull’immagine di Santa Rita, e candele lasciate qua e là per la chiesa».

«Quello che sicuramente dovrò ricomprare, è il microfono, l’ha distrutto lì, sull’altare, e il messale, perchè ha strappato circa una trentina di pagine».

«Per sistemare tutto ci vorranno circa mille euro», ha spiegato ancora padre Adrian, sottolineando che i danni economici non sono insormontabili e che lui stesso ha già cominciato a sistemare ciò che poteva con le proprie mani.

Da tre anni ormai la chiesa viene lasciata aperta tutto il giorno, «perché la gente il pomeriggio, trova il silenzio, non ci sono celebrazioni, entrano a pregare. Quindi noi abbiamo dato questa possibilità, anche se non ci siamo, apriamo alle 7 fino alle 12, poi dalle 16 fino a sera».

«Dalle telecamere della videosorveglianza, attive nelle ore della nostra assenza, si vede un ragazzo, ma non ho voluto guardare le immagini con attenzione per non farmi un giudizio affrettato», ha precisato.

Padre Adrian Timaru

Quello che colpisce è il modo in cui il rettore ha interpretato questo atto di vandalismo. Per lui, non si è trattato di un gesto di rabbia od odio. Padre Adrian ha subito messo da parte il risentimento – che pure si è sollevato tra akcuni – scegliendo la via del perdono e della comprensione.

«Non penso che l’abbia fatto con odio. Credo che questo giovane abbia bisogno di aiuto, e mi piacerebbe poterlo incontrare e capire cosa l’abbia spinto a compiere questi gesti».

Le sue parole rivelano un profondo atteggiamento di misericordia.

«Spesso siamo rapidi a giudicare, a condannare – riflette – ma forse quel ragazzo stava solo cercando di attirare l’attenzione, di gridare un disagio che non sapeva come esprimere».

Per padre Adrian episodi come questo sono il riflesso di una società che fatica ad ascoltare chi soffre e che troppo spesso risponde con indifferenza o durezza. Invece, «occorre cercare il dialogo e chiedersi cosa possiamo fare per chi è in difficoltà».

Questo episodio avrebbe potuto lasciare solo amarezza, invece si è trasformato in un esempio di come la compassione e la comprensione possano prevalere su reazioni impulsive e pregiudizi.

Il cuore del messaggio cristiano

Il rettore ha voluto sottolineare che, nonostante la denuncia sia stata necessaria per via della responsabilità che la chiesa ha verso i beni culturali, e verso il Fec, (Patrimonio del Fondo edifici di culto del Ministero degli Interni) il cuore del messaggio cristiano è andare incontro agli altri, soprattutto a chi si trova in un momento di difficoltà.

«Se riusciamo a capire chi è questo ragazzo e cosa l’ha spinto a comportarsi così, potremo aiutarlo. Se lo puniamo e basta tra un mese potrebbe rifarlo, ma se lo ascoltiamo e lo sosteniam possiamo fare la differenza».

«La Chiesa deve mostrare il cuore – conclude padre Adrian – perché è questo il suo ruolo: non solo proteggere i beni materiali ma prendersi cura delle persone».

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