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Jesi Con Giovanni Scifoni il San Francesco superstar della fede

Inaugurato il Festival Pergolesi Spontini, due ore affascinanti e affascinati da uno spettacolo nuovissimo, fra quotidianità e Duecento   

 Jesi – Cosa hanno in comune Gesù e Francesco d’Assisi? L’amore per gli ultimi? La voglia di cambiare il mondo, e insieme al mondo la Chiesa, le credenze e i vari modi di credere, i rapporti fra i popoli, l’abolizione della insensibilità degli uni verso gli altri? Forse ci siamo. Ma non basta. Vado avanti io. Il fatto è che sia l’uno che l’altro sono diventati, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, due superstar.

Il primo, intitolato Jesus Christ Superstar quando ancora era commedia musicale (non la chiamarono ancora musical), lo incont rai in un teatro di Londra nell’agosto del 1972. Viaggio di nozze… Mi sparigliò le carte, ma non l’evento personale. In realtà non ero pronto, tagli di luci, rock quasi metallico…ma quando mai? Poi venne il film che mi arricchì davvero le idee e infine il musical, che approdò anche al Sistina e che seguii diverse volte.  

Adesso, a inaugurare mercoledì 24 luglio (in Piazza Federico II, su di un palco che doveva contenere canto, ballo, creazioni figurative e non solo) la XXIV edizione del Festival Pergolesi Spontini, c’è stato “Fra’, San Francesco, la superstar del Medioevo”, di e con Giovanni Scifoni.  

Che è riuscito a coinvolgere per due ore l’enorme pubblico accorso perché lui è un artista che definire poliedrico è sminuente, ma anche perché, accanto, ad accompagnarlo nel suo monologo, c’erano strumenti antichi orchestrati con laudi medievali di Luciano di Giandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli.

Questo ensemble ha tradotto la storia di ottocento anni fa (il presepio di Greccio li festeggia più o meno quest’anno, auguri)  in un affresco attuale, persuasivo, ci mancava che il pubblico ballasse insieme a Scifoni ma non sarebbe stato né censurabile né criticabile, anzi. 

Non c’è mai banalità nel racconto monologo di Scifoni, solo momenti di sana ironia che ci portano nell’attualità e che stemperano angoli, alcuni anche acuti, della Storia. Che siamo noi, come dice De Gregori, ma che in realtà, in duemila anni sono due, Cristo e San Francesco, a narrarla e rappresentarla. Non ci sarà mai nessuno (e non se la prenda Federico II, lo Stupor Mundi, eravamo nella sua piazza natale) come Francesco che realizzerà il Vangelo partendo dalla sua cultura cavalleresca e di ricco signore, che segue un Cristo povero e mendicante, sempre pronto a spezzare il pane in due.

Francesco ha interpretato, voluto, pensato, a un Cristo leggendolo col suo spirito francescano. Noi (io) non siamo preparati a leggere questa storia, ma ci rendiamo conto di quanto sia stato difficile abbracciare una vocazione così romantica, se si vuole, piena di impeto e di enfasi religiosa. Diversa dai film, dalle opere che ce lo raccontano da decenni.

Parlammo di Francesco, alcuni anni orsono, con la storica per eccellenza, Chiara Frugoni, alla presentazione del suo libro “Chiara e Francesco negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi”.  

Mi disse: «Francesco era un personaggio eccezionale, rispetto ai suoi tempi e per le sue idee, anche se non erano perfettamente radicate nel Vangelo. Una persona di fede ma anche di grande intelligenza politica, soprattutto un uomo che si è fatto carico dei problemi della società di allora, con una proposta aperta, guarda caso, proprio ai laici, uomini e donne».  

C’è poco da aggiungere, due ore affascinanti e affascinati da uno spettacolo nuovissimo, fra quotidianità e Duecento.   

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