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Cronaca

JESI Covid-19, gli infermieri: «Non ci sentiamo eroi»

Maria Teresa Chechile e Giordano Cotichelli raccontano l’emergenza

JESI, 23 marzo 2020 – Non si sentono eroi ma professionisti.

Maria Teresa Chechile e Giordano Cotichelli sono due infermieri jesini che lavorano, con impegno, tutti i giorni.

Maria Teresa Chechile

Maria Teresa Chechile

«Ho scelto questa professione e cerco ogni giorno di dare risposte ai pazienti – spiega Maria Teresa Chechile, che lavora nell’ambulatorio di Pneumologia del “Carlo Urbani”-.  A volte ci riesco bene, altre meno ma il mio impegno è sempre al massimo. Per questo non mi sento un’eroina in questo momento».

Quali i tuoi pensieri in questi giorni?

«Quando entro in ospedale c’è un silenzio surreale dal sapore amaro, si percepisce però un forte senso di appartenenza: tutti stiamo scoprendo cosa è necessario, qual è il senso pieno dell’essere umano. Silenzio interrotto dallo squillare del telefono per lo spostamento di appuntamenti e visite di pazienti no Covid ma con patologie pregresse: a queste persone cerco di dare conforto, di rassicurarli, di far capire che noi ci siamo».

Quali sono le tue speranze per il futuro?

«Spero che tutto questo ci farà riflettere su quello che abbiamo fatto sino ad ora per le generazioni future e per il nostro pianeta. Spero che ci sarà più umanità e un profondo senso di appartenenza. Spero che ci faccia capire quali sono le cose necessarie e che l’impegno di chi lavora in ospedale c’è sempre, anche quando il pronto soccorso è affollato e si è pronti a giudicare».

ospedale jesi coronavirus«Siamo dinanzi a una pandemia seria, resa più seria da un sistema sanitario e una società indeboliti»: così l’infermiere jesino Giordano Cotichelli racconta questi giorni di emergenza.

«Non è la sanità degli eroi ma della salute pubblica, protagonista della società: se la guardiamo così, forse, domani ci saranno meno persone che andranno ai pronto soccorso, cellulare in mano, pronte a giudicare».

Ti senti un eroe?

«Assolutamente non mi sento un eroe: sono un professionista in una situazione di estrema fragilità collettiva. Adesso c’è un lavoro immane da fare, è molto dura ma lo sconforto non serve. Questo momento sicuramente passerà».

Perché dici che la società è indebolita?

«Tagli e privatizzazioni hanno devastato il sistema sanitario e il welfare: i posti letto che mancano oggi sono frutto di meccanismi entrati in funzione da tempo. Chi è fuggito da Nord a Sud potenzialmente può aver peggiorato la situazione epidemiologica ma è umano cercare la salvezza altrove quando non c’è, forse adesso lo abbiamo capito».

Come pensi che supereremo questa situazione?

«Credo che da soli la pandemia non la batteremo, servono solidarietà e vicinanza: nulla si deve dare per scontato, non possiamo ritrovaci egoisti e soli ne va della democrazia e della libertà che abbiamo avuto sino ad ora. Sono positivo, nel senso che guardo positivamente al futuro… parola che di questi tempi rischia di essere fraintesa. Le misure che sono state prese adesso sono necessarie per impedire al sistema di collassare: il problema non sono solo i malati di Covid-19 ma anche queli che hanno altre patologie. Oggi in molti portiamo nel viso, sul corpo, nel cuore i segni di questa battaglia. Tutti siamo in prima linea: i primari gli Oss, chi fa le pulizie, gli infermieri. Le scelte dolorose adottate dall’Italia saranno prese da esempio in molti altri Paesi, si deve andare avanti insieme anche in quest’ottica. Spero che domani avremo più fiducia nei lavoratori e nelle lavoratrici, nelle istituzioni».

Poi ci sarà da ricostruire…

«Questa emergenza è uno schiaffone, quando sarà passato vivremo il dopoguerra e dovremo ricostruire tutto, senza chiacchiere ma con uno stato sociale equo che non sia quello che abbiamo maltrattato fino ad ora».

L’invito è quello di chiarire ogni dubbio sui siti ufficiali, l’Istituto Superiore di Sanità, il Ministero della salute e l’Oms.

Eleonora Dottori

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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