Cronaca
JESI Covid-19, lo pneumologo Corrado Micucci: «Non abbassare la guardia»
24 Aprile 2020
L’utilizzo della mascherina, l’attenzione nel lavaggio delle mani, il divieto di assembramento, sono misure che devono continuare a essere rispettate
JESI, 24 aprile 2020 – Nel reparto di Pneumologia del “Carlo Urbani” sono stati, e lo sono tuttora, in prima linea nella cura dei pazienti e nella lotta contro il coronavirus.
Un virus che si è abbattuto all’improvviso sulla popolazione, che merita ancora tanta attenzione perché, pur se i dati volgono a pensare positivo, dopo un periodo davvero nefasto, è vietato assolutamente abbassare la guardia.
Ne abbiamo parlato con il dott. Corrado Micucci, pneumologo dell’unità operativa dell’ospedale di Jesi.
Tutto all’improvviso, eppure per voi le infezioni erano ben note?
«Le patologie legate ai virus e i batteri che colpiscono l’apparato respiratorio le trattiamo continuamente ma per affrontare questa epidemia tutta l’organizzazione è stata da settimane rivoluzionata».
Come state gestendo in reparto l’emergenza?
«Dal punto di vista della gestione sono stati creati fin dall’inizio dell’emergenza dei reparti Covid dedicati a pazienti con patologia da coronavirus in cui lo pneumologo ha messo a disposizione le sue competenze, insieme ad altri specialisti, per la gestione di questo tipo di patologia. Sono stati convertiti dei reparti, che prima erano dedicati ad altre patologie, a reparti Covid e sono stati aumentati o diminuiti il numero di letti in relazione alla prevalenza di pazienti. In questo momento si sta tutto ridimensionando ma agli inizi di marzo avevamo 5 reparti Covid».
Come avete curato i pazienti? Avete usato terapie sperimentali?
«Premesso che non esiste a oggi una cura definitiva per il coronavirus, abbiamo utilizzato alcuni farmaci che dalla letteratura scientifica più recente erano stati considerati comunque efficaci nel ridurne i sintomi. Previo consenso del paziente, perché i farmaci usati in realtà nascono per altre patologie, e dai dati scientifici preliminari trasmessi da altri nazioni, in particolare dalla Cina, si è visto che sembravano ridurre i sintomi anche per il coronavirus. Abbiamo utilizzato alcuni di questi per gestire la patologia».
Un paziente malato come fa a dire di no, a rifiutarsi?
«Quasi tutti hanno accettato. È un dovere del medico informare visto che non sono specifici per questo tipo di malattia e di virus. Il consenso del paziente ci deve essere sempre e c’è stato».
Cure risultate efficaci?
«In generale sì. Oltre alle cure intese come farmaci anche i mezzi di ventilazione assistita, strumenti di ventilazione di aiuto al respiro polmonare, hanno aiutato di molto il paziente a riprendersi e guarire».
Nella malaugurata ipotesi di un ritorno del virus siete preparati?
«L’esperienza agevolerà. Abbiamo imparato a riconoscere quali possono essere i segni sia da un punto di vista radiologico, dagli esami del sangue, dalle manifestazioni cliniche, da alcuni sintomi classici come il raffreddore, il mal di gola, la congiuntivite, la difficoltà respiratoria. Per la gestione abbiamo imparato a capire quando il paziente deve essere portato all’attenzione del rianimatore perché potrebbe peggiorare. Adesso dovremo avere anche delle aree specifiche adibite per la gestione del paziente quindi ci sentiamo di certo più pronti e non colti di sorpresa».
Un paziente dichiarato guarito avrà tracce o danni postumi da questo Covid-19?
«Non lo sappiamo con precisione. Abbiamo notato che il paziente recupera gran parte della sua integrità fisica. Alcuni necessitano di riabilitazione respiratoria, soprattutto i più gravi, se poi a lungo termine interverranno delle problematiche purtroppo non siamo in grado di prevederlo perché questo virus è giovane, nuovo. Se lo dovessimo paragonare ad altri coronavirus, che comunque esistono, mi sentirei di dire di no, ma non lo sappiamo: solo il tempo ce lo dirà».
I pazienti già in cura presso la vostra Unità Operativa o con problemi pregressi di patologie polmonari sono i più propensi ad ammalarsi di questo virus?
«In realtà per quanto riguarda le patologie polmonari croniche come bronchite cronica o asma sembrerebbe che la bronchite cronica sia risultata più frequente nei pazienti con patologia da coronavirus e potrebbe determinare un peggioramento della sintomatologia. Cosa diversa per l’asma che non sembra un fattore aggravante».
Quali ipotesi possiamo fare?
«La bronchite cronica è nei pazienti più anziani, in genere fumatori, in cui il polmone era già più compromesso. I pazienti asmatici sono invece tendenzialmente più giovani e l’età aiuta. In entrambi i casi il fatto di sapere che girava un virus ha portato, è una ipotesi, ad avere maggiore attenzione alle cure già precedentemente prescritte. Il paziente già con patologia polmonare insomma è stato attento e questo lo ha preservato».
Nelle informazioni quotidiane generali si percepisce che la stagione calda potrebbe sconfiggere il virus? È credibile?
«È un virus respiratorio. L’esperienza ci dice che i virus respiratori, in generale, nel periodo estivo, si trasmettono di meno. È anche vero che nei Paesi più caldi in questo momento sembrerebbe meno presente. Quindi è verosimile che possa avvenire ma non ne siamo certi. I presupposti ci possono essere, la certezza no».
Dal 4 maggio forse si inizia una nuova vita, magari con gradualità. Cosa consiglia lo pneumologo?
«Non abbassare assolutamente la guardia. Il fatto che il numero dei contagi si sia notevolmente ridotto e si pensa ad una ripartenza non significa che a oggi il virus è sconfitto. Tutte le misure di distanziamento, l’utilizzo della mascherina, l’attenzione nel lavaggio delle mani, il divieto di assembramento, sono misure che devono continuare a essere rispettate perché il rischio è che ci possano essere dei nuovi focolai e dunque delle recrudescenze. Il fatto di vedere dei risultato positivi e incoraggianti non ci deve far perdere l’attenzione sulle misure di prevenzioni sociali».
Il vaccino, a che punto siamo?
«Attorno a questo virus si è mosso un mondo di scienziati e di clinici come mai. Sicuramente si arriverà a un vaccino. Ci sono in corso trial clinici, degli studi clinici, per quanto riguarda il vaccino e in base ai dati della letteratura che leggiamo i tempi dovrebbero essere brevi. Sono convinto che ci arriveremo!»
Evasio Santoni
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