Cronaca
JESI Il cardiologo Cesare Boria: «Troppo tardi al pronto soccorso per paura del virus»
23 Aprile 2020
Emergenza Covid-19: attenersi alle regole e investire sul territorio con tecnologia e strumentazione, l’ospedale deve ritornare alla sua piena funzionalità
JESI, 23 aprile 2020 – Nelle ultime settimane l’emergenza Covid nell’immaginario collettivo, ma forse anche nella realtà, ha ridotto gli accessi agli ospedali per patologie diverse dal coronavirus.
Molti però i decessi causa infarto e, tanti, nelle proprie abitazioni. Non solo: purtroppo anche per altre patologie si muore. Ma è come se ci fosse stata paura a rivolgersi al pronto soccorso.
Ne abbiamo parlato con il cardiologo Cesare Boria, dirigente medico all’ospedale “Carlo Urbani”.
Come è organizzato il “Carlo Urbani” ?
«Sono state create per l’occasione strutture (reparti) Covid dedicate, dove venivano ospitate persone in attesa di risposta dopo i tamponi o coloro che erano risultati positivi, sospendendo e sovvertendo la struttura interna dell’ospedale con reparti convertiti a strutture Covid. Siamo arrivati anche sino a 100-120 malati. Per quanto riguarda U.O. Cardiologia –Utic, questa ha subito una dislocazione diversa rispetto agli spazi sempre occupati, per far posto a pazienti che necessitavano di cure intensive sotto il controllo dell’unità di terapia intensiva (ex riaminazione). Al momento alcuni reparti hanno ripreso le loro attività e per quanto riguarda la Cardiologica i posti monitorizzati (4 posti letto) sono stati condivisi con la Neurologia mentre i pazienti cardiopatici stabilizzati sono stati accolti prima in Neurologia ed ora in ordine sparso in Medicina».
Tutto nella funzionalità?
«Questo modello organizzativo è destabilizzante per il paziente soprattutto per il cardiopatico ischemico che ha bisogno, per la sua patologia, di tranquillità, di essere rassicurato e di supporto medico-infermieristico specifico. È necessario programmare un ritorno alla normalità inviando alla gente messaggi di tranquillità e sicurezza per cui possano contare di nuovo sulle strutture fondamentali che hanno caratterizzano il buon funzionamento dell’ospedale per l’utenza. Per cui se prima veniva sconsigliato, o l’utente evitava l’accesso al pronto soccorso per paura di contrarre questo famigerato virus, magari anche sottovalutando sintomi e/o situazioni, ora non deve rischiare e con prontezza e prevenzione sottoporsi a controlli».
Come accaduto anche a Jesi?
«Infatti, nelle cronache cittadine ci sono stati casi di persone che sono morte in casa. Poteva succedere anche prima, ma tutte le patologie che venivano controllate pre Covid, come prevenzione, ora non vengono più fatte. La gente non usufruisce più del pronto soccorso perché ha paura di essere messa in attesa di accertamenti in una struttura tendata o stare insieme a chi è positivo al virus».
Può esserci una relazione tra il virus e gli infarti?
«L’infarto può insorgere oltre che per situazioni di stress e/o patologie organiche cardiologiche (occlusione delle coronarie) anche in una patologia come questa del virus che sembrerebbe non avere relazione con l’infarto, scatenato per lo stress emotivo e/o per alterazioni della cogulazione. L’esperienza Covid ci ha insegnato che le morti dei pazienti spesso sono legate a CIC (coagulazione intravasale disseminata) o a trombosi venosa polmonare scatenata dalla reazione di distruzione del tessuto polmonare innescata dal virus. Per cui polmoniti bilaterali devono anche essere trattate inizialmente e nelle fasi di aggravamento come potenziali patologie cardiopolmonari (uso di anticoagulanti, ad esempio, eparine a basso peso molecolare per prevenzione stato trombotico) e non solo come polmoniti dovute alla distruzione polmonare in risposta alla infiammazione e danno polmonare per distruzione delle cellule con successivo rischio di formazioni di microtrombi».
L’uso dell’eparina è importante?
«L’eparina a dosaggi profilattici bassi inizialmente e poi a dosi terapeutiche al variare della clinica e dei dati di laboratori deve essere utilizzata insieme a manovre cruente di supporto del respiro (come l’intubazione endotracheale) e la terapia antibiotica. Altro aspetto cardiologico legato alla patologia virale potrebbe essere l’infiammazione pericardio e/o miocardio con quadri potenzialmente drammatici».
Cardiologia, reparto importate ed essenziale?
«La cardiologia è stata sempre, e anche ora, in prima linea con tutti i colleghi che hanno supportato e si sono resi disponibili per assistenza diurna e notturna oltre ai propri pazienti anche per quelli colpiti da virus presso reparti creati per la situazione, sobbarcandosi un impegno lavorativo non indifferente che la gente ha apprezzato. Non ci sentiamo eroi perché tuteliamo la salute in questa situazione particolare. Dobbiamo essere stimati in tutti i momenti della nostra attività: lo abbiamo sempre fatto sia prima, durante e lo faremo anche dopo il virus».
Ritornando alla normalità tutto riprende con regolarità?
«Ritornando alla normalità tutti i reparti devono avere il loro spazio e peso. Condivido totalmente l’intervento del Sindaco Bacci e lo invito a ribadire con forza e con enfasi l’argomento per riportare il “Carlo Urbani” allo status quo di come era prima del Covid per ricominciare e migliorare ogni attività di pubblica utilità e per la salute dei cittadini».
Riaprire i reparti chiusi?
«Sono stati smantellati reparti interi: medicina e ortopedia. E, come detto, cardiologia e neurologia accorpate. Se tutto rimanesse cosi qualcosa non funzionerà più in maniera ottimale. Serve un recupero totale delle funzionalità e specialità di questo ospedale acquisite in tanti anni di esperienze conquistate sul campo. Non ci si deve approfittare di momenti particolari per ristrutturare internamente a discapito della funzionalità globale di un ospedale del territorio. Il Sindaco deve imporsi».
Molte persone affette da ipertensione e problemi cardiovascolari hanno dubbi in questo periodo, e si chiedono se possono continuare a prendere i farmaci a contrasto delle loro patologie. Cosa consiglia?
«L’iperteso si deve comportare come sempre ha fatto. Sospendendo i farmaci e prendendone altri c’è il rischio di peggiorare tutto il quadro clinico cardiologico. Chi ha il virus ha una ipossia cioè una riduzione dell’ossigenazione e questo può comportare un danno multiorgano che può essere cardiaco, renale, cerebrale, insomma generalizzato, per cui se io non riesco a controllare bene la funzione del cuore e la pressione arteriosa posso incorrere in maggiori rischi legati all’infarto e all’ictus. Tutte le associazioni scientifiche e cardiologiche hanno detto che non esiste alcuna necessità di sospendere o sostituire il farmaco ACE inibitore».
Quale messaggio si può lanciare?
«Attenersi alle regole (preferirei dire norme igieniche in generale perchè lavarsi le mani serve in qualsiasi malattia trasmissiva da contatto) emanate nel rispetto della propria persona e verso gli altri, evitare assembramenti e convivialità, togliere qualsiasi possibilità di contatto interumano, uscire il meno possibile anche se è dura stare sempre chiusi in casa. Il virus, confermato da virologi ed esperti del settore, è sensibile al calore e all’umidità per cui spero che a breve con l’avvento della bella stagione ed aumento delle temperature questo virus venga attenuato o sconfitto».
Quando e come usciremo di casa?
«È pur ovvio che non si può stare a vita in casa. La previsione delle associazioni governative dice che il 27 giugno da noi si raggiungerà la contagiosità zero poi rivista dalla Regione Marche alla fine di maggio. A livello pratico di medicina preventiva serve una sicurezza massima, serve riprendere il controllo totale delle patologie preesistenti come fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica, ipertensiva. Il centro cardiologico “Monzino” di Milano nei giorni scorsi ha diffuso un dato statistico di un aumento del 40% di morti da infarto perché la gente non va in ospedale per la paura e questo noi lo dobbiamo superare. Il virus può comportare delle problematiche cardiologiche come miocardite, embolie polmonari multiple ma anche l’infarto legato all’emotività e allo stato di tensione ne risente».
Ai primi segnali meglio chiedere aiuto?
«Se si sottostimano i segnali e non si va in ospedale per paura è deleterio. La gente deve essere moderatamente invitata ad uscire limitandosi alle normative e rispettarle. Se poi insorge qualche sintomo strano di tipo cardiologico andare subito al pronto soccorso perché ora esistono il pronto soccorso “pulito” e quello “sporco”. Riprendiamo la vita normalmente con una tranquillità recuperata, non con il terrore di ammalarsi di virus in quanto talvolta solo con il terrore si rischia di fare più danni. La ripresa sarà dura ma è inevitabile prevederla e poi affrontarla».
La coronografia viene fatta con la stessa programmazione e intensità di prima del Covid?
«Certamente, noi continuiamo a portare i pazienti regolarmente al Lancisi in Ancona».
Le mascherine sono utili? Come comportarsi?
«Le mascherine sì, ma se è vero che il sole, l’umidità, il calore, i raggi ultravioletti degradano il virus usciamo senza fare assembramenti. Il pericolo sta nel comportamento dell’essere umano. I comportamenti igienici vanno rispettati ma questi come lavarsi le mani, avere cautela, usare disinfettanti alcolici, rientravano già nella quotidianità di un corretto comportamento igienico anche prima del Covid».
A livello organizzativo cosa consiglierebbe?
«Abbiamo inculcato nelle persone fragili, anziani, pazienti con più patologie una sorta di terrorismo. La malattia virale è seria ma ci sono pure persone che sono guarite con postumi più o meno gravi ma sono guarite. Lo schema lombardo dove l’ospedale è al centro di tutto, senza curarsi del territorio, non va bene. Si deve investire sul territorio con tecnologie e strumentazioni innovative (telemedicina ad esempio, sia nelle strutture come RSA e case di riposo ma anche sul lavoro) e soprattutto stimolare e fornire ai medici di base gli strumenti essenziali per affrontare tali evenienze oppure incentivarli all’uso di strumenti che possono controllare a distanza pazienti così detti fragili per rassicurali e far sentire loro di essere assistiti e non abbandonati. Usiamo questa benedetta-maledetta tecnologia che in certe situazioni è necessaria».
Le case di riposo hanno avuto problemi non indifferenti…
«Le case di riposo e la Rsa devono essere controllate e funzionanti come si fa nelle fabbriche. L’esempio della casa di riposo di Belvedere che non ha avuto un caso positivo di Covid, perché tutto è stato tenuto sotto controllo da parte di un medico oculato e competente come il dott. Flamma, va preso come modello e lungimiranza. Dunque investire sul territorio e sulle tecnologie. Se pensiamo che inizialmente si era detto di non mettere le mascherine per non terrorizzare la gente è stato un grosso errore e non va bene».
Una sorta di responsabilità collettiva, necessita una riorganizzazione generale?
«Nella nostra impreparazione ad affrontare questo virus c’è stata una responsabilità generale. Adesso le patologie di ritorno dovranno essere ben gestite: le cardiopatie, gli infarti non diagnosticati, gli scompensi cardiaci aumenteranno perché è stata fatta una chiusura. Ci vuole il buon senso e gli ospedali dovranno essere forniti di strumentazioni giuste e adeguate (ad esempio trasmissione intraospedaliera di ECG per intranet evitando agli Oss di portarli manualmente). Adeguiamo il “Carlo Urbani” alle nuove tecnologie: non sono soldi spesi male. Iniziare da qui per poi connettere il territorio».
Evasio Santoni
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