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Cronaca

Jesi Il clochard agli Orti Pace «seguito dai servizi sociali», ieri panchina ripulita

Continuano le segnalazioni sulla permanenza del senzatetto in via Setificio, la sua situazione è comunque nota e si sta cercando una soluzione

Jesi – Poco più di un mese fa avevamo posto all’attenzione il clochard che staziona su una panchina degli Orti Pace, lungo via Setificio, panchina che ha trasformato nella sua abitazione a cielo aperto.

Con tutto quel che ne consegue in fatto soprattutto di igiene e poi di bagaglio che ammassa accanto a sè. Tutto quello che ha.

Lui, N. di origini africane, è conosciuto oramai non soltanto dai residenti che spingono perchè si trovi finalmente una soluzione idonea al suo caso, ma anche e soprattutto sia dai servizi sociali che dalla Caritas diocesana.

Ieri si è allontanato e dal Comune hanno fatto provvedere a una ripulita a fondo della panchina – casa e dell’area circostante (foto in primo piano), riportandole allo stato in cui si trovavano prima dell’occupazione.

Per N. potrebbe esserci una soluzione in vista, ci si sta lavorando da tempo ma è importante che lui accetti, poi, di farsi aiutare.

È stato ospite anche della Casa delle Genti, dove è solito passare i mesi più freddi. Adesso che fa caldo, pur utilizzando a volte i servizi di mensa e quello dell’armadio, preferisce, come molti altri senza fissa dimora, vivere la sua esistenza all’aperto.

A intervenire in merito l’assessore ai servizi sociali, Samuele Animali che con N. si è già confrontato.

«Molti si preoccupano giustamente di N. che da qualche settimana vive all’aperto nei pressi degli Orti Pace», ha scritto l’assessore sul suo profilo social e, dopo aver elencato alcuni commenti allarmisti dei cittadini, fa il punto della situazione.

«Qualche precisazione per chi fosse seriamente preoccupato. Invito a considerare che deve essere ben distratto un assessore (un carabiniere, un vigile urbano, un operatore di strada, un assistente sociale) che non si sia accorto di N. Non fosse altro per le decine di segnalazioni che arrivano».

«Ma soprattutto perché sta in uno dei luoghi più trafficati di Jesi. N. era conosciuto dai servizi da molto prima che se ne accorgessero i social. Utilizza le risorse a disposizione ed è seguito dagli operatori, ma al momento non vuole andare in dormitorio. Si potrebbe forse portarlo a forza, o caricarlo su un treno e via. Magari molti non troverebbero da ridire. Altri, spero, abbiano altra idea del rispettare le persone e prendersene cura».

«Quasi mai viene chiesto che fine abbiano fatto quello o quella che stavano sotto la tettoia del Boario, nel porticato della chiesa, nella portineria dell’ospedale, sugli scalini del supermercato, in uno stabile abbandonato e potrei andare avanti ancora per molto. Raramente si tratta di tristi storie a lieto fine, a volte si è pensato di raccontarle per far vedere la persona che c’è dietro la storia, altre meglio di no, specie quando non c’è stata una soluzione accettabile».

«Insomma, ti accorgi che alla fine il vero problema politico è farlo sparire dalla vista, mettere la persona altrove. Qualche volta altrove è il carcere, l’ospedale, o semplicemente un luogo più nascosto. Dove magari poi trovi un corpo abbandonato».

«Per le persone che non dispongono di un alloggio c’è un sistema di servizi sul territorio al quale collaborano con impegno istituzioni pubbliche (Asp, sanità, Forze di polizia) e privato sociale (ad esempio Caritas e altri enti del Terzo Settore). A chi si sposta abitualmente viene offerta la possibilità di fermarsi in un luogo dignitoso e riparato per un periodo limitato di tempo. Per chi ha risorse personali e reti sociali nella nostra città, anche una seconda accoglienza volta a recuperare progressivamente l’autonomia. C’è un pronto intervento sociale per affrontare tempestivamente le urgenze».

«Queste persone, per motivi non sempre sindacabili, possono scegliere di accedere solo ad alcuni servizi (mensa, vestiario, contributi in denaro ecc.). Non possono essere costretti a fare ciò che vorremmo magari per il loro bene, se non con provvedimenti giudiziari o sanitari (Tso)».

«Le difficoltà sono grandi, il sistema di accoglienza è senz’altro perfezionabile ma anche abbastanza efficace e capillare. Nell’assistenza prestata c’è anche una regola non scritta per cui di norma non si va in giro a raccontare quanto siamo bravi, caritatevoli ecc., facendo riferimento a persone specifiche ancora presenti sul territorio e ancora in difficoltà».

Come già accaduto in altri casi simili, l’opzione di non avere regole e orari, quando non gravi su chicchessia, per alcune persone è una scelta di vita, da rispettare. Occorrerebbe, perciò, trovare quel punto di equilibrio che salvaguardi la propria e l’altrui dignità. E spesso non è facile.

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