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Jesi Il dialetto delle campagne jesine in un dizionario di Pacifico Massaccio

«Non volevo che i termini della mia giovinezza andassero perduti, così ho iniziato, quasi per gioco», spiega l’88enne


Jesi All’età di 88 anni lo jesino Pacifico Aldo Massaccio porta a conclusione l’opera di una vita, la realizzazione di unDizionario dialettale – Contadino Antico, circa 800 i termini raccolti, i modi di dire tipici della sua infanzia – e di più di una generazione – testimoni indelebili di uno spaccato di storia della città, della veracità jesina, della vita in campagna. Termini che rischiavano di andare perduti.

«Giunto ormai alla maggiore età avanzata e in prossimità del traguardo, vorrei lasciare incompiute o sospese meno cose possibili. Una di queste è un mio vecchio lavoro, si tratta di un piccolo dizionario di termini dialettali, diffusi nelle campagne jesine nella prima metà del secolo scorso», così introduce alla sua opera Pacifico Aldo Massaccio.


«L’area di appartenenza è quella a ovest di Jesi, compresa tra il fiume Esino e il torrente Granita. Per intenderci nelle contrade di Montecappone, Montesecco, Tabano, Paradiso. Nelle altre zone si potevano notare sfumature diverse anche se poco rilevanti».

«Ho raccolto quanto la memoria è riuscita a conservare della mia vita da ragazzo – ha aggiunto -. Con la fuga generalizzata dalle campagne, nel dopoguerra e negli anni ’60-’70, questi termini sono caduti velocemente in disuso, ma non volevo che i vocaboli della mia giovinezza andassero perduti. Ho iniziato per gioco a raccoglierli diversi anni fa, alla fine sono arrivato a 800 vocaboli. Per i più giovani ascoltarli può dare l’idea di avere a che fare con un’altra lingua».


Scorrendo le pagine del dizionario, saltano all’occhio i termini della campagna: il contadì grosso era la famiglia numerosa su un podere di grandi dimensioni, il pollaro, il pollaio, il picciò il piccione, il canestrò, il canestro di dimensioni molto grandi. Poi i verbi e le espressioni dialettali: gire è andare (gimo, andiamo), abbocca è entra, gera ndoché stera, andava rimessa dove stava prima. Il rabbido è colui che si arrabatta freneticamente, il capisciò quello che si dà molte arie, tristo, quello antipatico.

Per i paragoni: secco come no’ spì, sordo come ‘n greppo, n’è notte a Cingoli, non c’ha mango l’occhi per piagne!

L’opera si conclude con una poesia in dialetto scritta dallo stesso autore, dal titolo Vallesina tera mia:Quanto sei bella tera mia. Vallesina piena de colore, quando te guardo se ‘llarga l’ core. Chi parte fai padì de nostalgia“, questo l’incipit della poesia che si conclude così: “E quanno sarà ora de gì via, a la terra lo ‘rdarò sto core. L’annima la ‘rdarò al Signore, profumada de sta tera mia“.

Il volume, per ora destinato a familiari e amici, sarà ristampato in base alla richiesta di chi vorrà accaparrarsene una copia, per conservare indelebile la traccia di una lingua così ricca di jesinità e di ricordi.

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