Cronaca
Jesi Il lieto fine per il clochard degli Orti Pace
Il camerunense poco più che quarantenne si è ricongiunto alla sorella e alla famiglia di lei che vive in Val d’Aosta, grazie alle ricerche e al lavoro di Asp Ambito 9, Comune, Caritas e Polizia Locale
27 Settembre 2024
Jesi – In molti lo conoscono perché, tra giugno e luglio, per diverse settimane ha occupato la panchina lungo via Setificio, agli Orti Pace, lì aveva accatastato le sue cose, ne aveva fatto la sua abitazione a cielo aperto che poi gli addetti comunali avevano sgomberato per motivi igienici e di pulizia dell’area.
Lui (N.) se ne era andato per circa un mese poi era riapparso a fine agosto, lo avevamo ritrovato nella solita panchina ma anche a zonzo per la città, da tempo i Servizi sociali, Asp9 e Caritas seguivano il suo caso e gli avevano offerto aiuto ma N. aveva sempre rifiutato di aderire ad un progetto di reinserimento, solo saltuariamente aveva usufruito dei servizi della mensa per i senza tetto e dell’armadio Caritas.
Ora questo suo peregrinare sembra aver raggiunto un lieto fine che sa di casa e di famiglia, quella di sua sorella in Val d’Aosta, dove è stato accolto a braccia aperte e dove ha accettato di curarsi. A raccontarci la bella storia è Maria Pina Masella, dell‘Area inclusione sociale di Asp Ambito 9.
«Molti di voi hanno visto quel ragazzo che ha vissuto per un periodo su una panchina degli Orti Pace. Qualcuno lo ha segnalato, qualcuno lo ha persino fotografato, qualcuno ha scritto un articolo sui quotidiani locali. Quel ragazzo è Sunrise*, camerunense poco più che quarantenne, reso fragile dalle precarie condizioni di salute aggravate dalla condizione di senza dimora. E utilizzo non a caso senza dimora e non senza fissa dimora».
«Perché Sunrise una dimora non ce l’ha. Nemmeno occasionale. Chi lo ha visto ha provato compassione, qualcuno disgusto, qualcuno paura e qualcun altro rabbia. Perché un senza dimora disturba la vista, in un modo o in un altro. L’occhio benevolo pensa che quella persona ha bisogno di aiuto».
«Di mangiare, di lavarsi, di avere un tetto sulla testa. È ovvio. Per citare Maslow, alla persona senza dimora mancano i bisogni alla base della piramide, quelli essenziali. Ma ci sono due modi di aiutare la persona senza dimora: offrire cibo, coperte, una doccia e un letto temporaneo in un centro di accoglienza. L’altro modo è quello di offrire tutto questo e nel frattempo occuparsi di lui, di quei bisogni che stanno a un gradino più alto della piramide. Non sempre è facile e in questo caso era molto difficile. Sunrise non si fidava, non voleva essere aiutato o così ci era sembrato».
«Dalla panchina ha cominciato a spostarsi in altre zone di Jesi e poi ad Ancona e di nuovo a Jesi. Un continuo fuggire. Così un giorno ci siamo seduti attorno a un tavolo abbiamo cominciato a occuparci davvero di lui. Ognuno per la sua parte».
«Abbiamo iniziato a fare ricerche sulla sua vita, partendo dalla città di residenza, passando per le città, gli ospedali e le Caritas da cui è passato. Una vita in giro senza riuscire a fermarsi mai, senza riuscire a curarsi e ad avere una vita normale. Abbiamo scoperto che aveva una sorella in Italia che non poteva più contattarlo perché Sunrise non aveva più un telefono».
«Nel frattempo, mentre cercavamo di capire, Sunrise sembrava scomparso. Fino all’altro giorno quando, tramite la Polizia Locale di Jesi, veniamo a sapere che Sunrise era stato fermato dalla Polizia Locale di Ancona. Al Comando si è mostrato ancora più fragile, non sembrava nemmeno più arrabbiato. Forse era solo molto stanco. Abbiamo chiesto alla Polizia Locale di non lasciarlo andare mentre avremmo avvisato la sorella, che vive con la sua famiglia in Valle d’Aosta, e l’avremmo messa in contatto con lui».
«E così è stato. Sunrise e la sorella si sono parlati, dopo tanto tempo. La sorella gli ha detto che lo avrebbe accolto per aiutarlo a curarsi. Sunrise ha detto sì. E da lì in poi è stata una corsa contro il tempo, una staffetta per organizzare il viaggio, per paura che si sarebbe allontanato e lo avremmo perso di nuovo. La Caritas di Jesi ha acquistato il biglietto del treno e un’operatrice della Caritas di Ancona si è recata presso la Polizia Locale per consegnarglielo. La paura che non riuscisse ad affrontare il viaggio, così lungo, era tanta».
«Ma il giorno dopo abbiamo esultato. Sunrise era arrivato dalla famiglia di sua sorella, in Valle d’Aosta, che si è subito attivata per proteggerlo e curarlo. Questa bella storia è il risultato di una squadra che ha funzionato, che è andata oltre il “barbone che bivacca su una panchina”, che ha guardato la persona e non solo la sua condizione».
«La grande sfida è quella di arrivare alla comunità, a quella comunità che prima di chiedere alle istituzioni “che cosa potete fare per lui?” si chieda “che cosa posso fare io?”, per diventare parte attiva della rete».
«*Sunrise è un nome di fantasia. Ho preso spunto dalla famiglia protagonista del libro l’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise che viaggia con il padre su un camper senza riuscire mai a fermarsi».
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