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Cronaca

Jesi Il Teatro Studio “Valeria Moriconi” restituito alla città – Video

Taglio del nastro in occasione dell’80° della Liberazione, il sindaco Lorenzo Fiordelmondo: «Luogo di libertà, dove si esercita la democrazia, delle quali la cultura si alimenta»

Jesi – I rintocchi del campanò di Palazzo della Signoria, ieri mattina alle 7, hanno anticipato di 4 ore la rinascita del Teatro Studio Valeria Moriconi, nella vicina Piazza Federico II.

Quei rintocchi di Libertà, nome imposto alla campana, forgiata ad Agnone, dalla stessa attrice jesina nel 1984, per ricordare l’ora della liberazione della città, il 20 luglio 1944. La proposta fatta dall’ex sindaco Gabriele Fava è, dunque, andata in porto.

E in questa giornata di 80 anni dopo, la scelta di restituire a Jesi il teatro, inaugurato nel 2002, nel 2005 intitolato, alla scomparsa, proprio a Valeria Moriconi. Che in quel taglio del nastro di 22 anni fa ebbe a dire: «Il teatro c’è, è bellissimo, è vostro, è nostro, è di tutta la comunità».

E il sindaco Lorenzo Fiordemondo ha voluto sottolineare che quel palcoscenico teatrale è non solo simbolo ma «come le piazze, luogo di libertà, dove si esercita la democrazia, delle quali la cultura si alimenta, possiamo prendere la parola per manifestare i nostri pensieri, le nostre attitudini».

«Oltre a essere felici perchè la città ha uno spazio che è proiezione di incontro e di relazioni, lo siamo anche perchè questo è un posto dove si manifesta quella libertà che abbiamo consolidato nella nostra Carta costituzionale, non autocelebrativa ma che si manifesta».

L’intuizione del Teatro Studio fu proprio di Valeria Moriconi, come ha ricordato l’avvocato – regista Marco Cercaci, introdotto dall’assessore Luca Brecciaroli, assessore alla cultura nei primi anni 2000, anni in cui fu avviato il recupero. Uno spazio destinato non solo a rappresentazioni ma anche per produrre, dialogare, esercitare la didattica, sperimentare. Polifunzionale, insomma.

Il progetto di allestimento fu curato, quella volta, dall’architetto Italo Rota – scomparso cinque mesi fa -, come a sua volta ha ricordato il professor Manuel Orazi, e a lui si devono i grandi palloni che erano appesi al di sotto della cupola in funzione acustica.

Adesso, a sei anni dalla chiusura per procedere al restyling, avviato un anno fa, 650mila euro il costo, «sono stati adeguati l’impianto antincendio e l’acustica con 96 pannelli fonoassorbenti – ha spiegato Lucia Chiatti, direttrice generale della Fondazione Pergolesi Spontini che ne gestisce le attività – e sipari posti alle nicchie sulle pareti, frutto del laboratorio della Fondazione, del lavoro di Marco Facondini (anche lui scomparso, ndr), del direttore tecnico della Fondazione, Benito Leonori, che ne ha curato il progetto, dell’architetto Federico Martini e dell’ingegner Pietro Bucari. Se da un lato, quindi, possono restituire la bellezza di questo teatro, dall’altro, essendo regolabili, ci consentono di effettuare al meglio le attività di spettacolo».

Quella che nel 1200 era una chiesa oggi è un contenitore polifunzionale e «quando si consegna alla città un lavoro che ha coinvolto tante prifessionalità e sensibilità – ha sottolineato l’assessora Valeria Melappioni – è un momento di orgoglio per tutta la comunità. Un luogo pensato per accogliere cultura, che viene dal nostro passato remoto, ma che grazie anche all’intuizione di progettisti d’eccellenza e lungimiranti è stato trasformato, uno spazio pensato per altro è divenuto spazio che possa rispondere alle esigenze culturali del momento. Concludiamo un percorso che non fa che ripartire».

Excursus storico affidato alla competenza della guida Cristina Fabbretti.

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