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Cronaca

Jesi Primo Luigi Bini, medico dei bambini e medico dell’anima

Un Palazzo dei Convegni affollato per celebrare il centenario dalla nascita e il decennale dalla scomparsa del fautore della Pediatria all’ospedale di Jesi

Jesi Grande partecipazione di pubblico per l’incontro a Palazzo dei Convegni di venerdì pomeriggio, “Una vita per la VITA e la comunità. Quale eredità per noi oggi?”, per ricordare il dottor Primo Luigi Bini (Monsano, 20 settembre 1924 – Jesi, 13 maggio 2014), figura iconica della città, fautore della pediatria a Jesi, medico dei bambini e delle famiglie, che quest’anno avrebbe compiuto 100 anni mentre 10 sono quelli che ricorrono dalla sua scomparsa.

A organizzare l’evento dal titolo “Una vita per la vita e la comunità. Quale eredità per noi oggi?”, alcuni cittadini nati nel quartiere Prato negli anni ’60, evento moderato dalla giornalista Beatrice Testadiferro, direttrice di Voce della Vallesina.

Sono intervenuti mons. Gerardo Rocconi, vescovo della Diocesi, l’assessora ai Servizi educativi, Emanuela Marguccio, la direttrice del reparto di Pediatria dell’ospedale “Carlo Urbani”, Antonella Bonucci, il professore di Filosofia teoretica dell’Università di Macerata, Roberto Mancini.

Al centro, il ricordo del dottor Bini e dell’importante ruolo svolto nella comunità non solo per la sua professionalità di medico, ma anche sotto l’aspetto umano, il suo essere al servizio del prossimo, la sua cura nelle relazioni, nell’educazione, la sua familiarità con tutti, l’impegno nell’Azione Cattolica, la vita personale intrisa di quella comunitaria, una forza di volontà guidata dall’amore per gli altri.

L’assessora Emanuela Marguccio, nel suo saluto iniziale, ha evidenziato proprio l’importanza di avere modelli di riferimento così preziosi nella comunità educante, figure mature e credibili che contribuiscano a formare persone sane e cittadini impegnati socialmente per il buon vivere di tutti.

Poi l’intervento del vescovo Gerardo Rocconi che ha colto gli atteggiamenti del dottor Bini come laico cattolico impegnato.

«Il primo è il suo sentire la Chiesa e sentirsi con la Chiesa, lui ne era parte integrante e testimoniava la fede nel suo agire di tutti i giorni. L’attenzione che rivolgeva agli altri non si esauriva solo nelsuo ruolo ma si esprimeva nella semplicità quotidiana, nella delicatezza con cui parlava ai ragazzi anche quando c’erano temi difficili da affrontare, nell’eleganza con cui si poneva con le persone che la pensavano diversamente da lui. Una testimonianza coerente dei valori evangelici che lui stesso viveva in prima persona».

Si è soffermata sul ruolo del medico nella società moderna, proponendo al pubblico anche istantanee dei ricordi del lavoro da primario in ospedale, la dottoressa Antonella Bonucci, direttrice dell‘Unità operativa di pediatria del “Carlo Urbani”.

«Oggi parliamo di performance, budget, aziendalizzazione, ma non dobbiamo dimenticare la centralità del malato. Abbiamo un compito per la vita e il dottor Bini rappresentava appieno questi valori. Spesso la vita privata si connetteva con quella pubblica, riceveva anche a casa nella stanza adibita ad ambulatorio, fu il vero fondatore della pediatria di Jesi».

«Aveva cominciato la vorare all’ospedale “Carlo Urbani” in Medicina generale ma, vista la sua specializzazione, aveva il permesso del primario di visitare anche i pazienti pediatrici, che nel tempo sono aumentati, fino a quando, nel 1969, con la revisione dei reparti, è stata inaugurata anche la Pediatria lui fu nominato primario. Un reparto che guidò per 20 anni. Un periodo in cui ha trasmesso agli altri tanta scienza e disponibilità all’aggiornamento continuo. Ma più di tutti ha testimoniato l’amore verso i bambini e le famiglie».

Una figura descritta con grande ammirazione, trasmettendo anche le abitudini che lo caratterizzavano.

«La domenica andava alla messa nella cappella dell’ospedale e suonava l’organo. Poi faceva un giro in Pediatria per controllare che tutto fosse a posto e se lo riteneva necessario indossava il camice e dava una mano. Nell’89 è andato in pensione ma ha continuato a collaborare con l’ospedale, dove gestiva la biblioteca, e non mancava giorno in cui non passasse in reparto per chiedere se c’erano novità che doveva sapere, cure o medicinali su cui poteva aggiornarsi».

Una vitalità e una rete valoriale e di relazioni che, nonostante la sua scomparsa sul piano fisico, rendono il dottor Bini ancora presente nella comunità.

«La vita è un fatto spirituale: sono vivo quando ricevo e ricomunico amore – ha spiegato Roberto Mancini, docente all’università di Macerata -. La relazione ce la portiamo dietro anche dopo la morte e mantiene vivo il legame con la persona defunta. La catena d’amore che il dottor Bini è riuscito a tessere nella comunità lo rende profondamente vivo. State raccogliendo una grande eredità».

«Oggi molti adulti hanno la resa nel cuore, il dottor Bini ha vissuto in modo attivo, comunitario, tutto quello che ha fatto nella vita lo faceva per passione e per amore del prossimo. Un’opera di rianimazione sociale che lo rende anche dottore dell’anima. La logica del potere ha preso il sopravvento nella società attuale. Rifondare la società oggi significa ripartire dall’amore e non dal potere. Amore inteso come adesione alla vita, esco da me stesso e mi apro alla vita, alla cura delle relazioni mettendosi al servizio della comunità e della comunione».

Anche il Circolo Ferrini era presente ed è intervenuto per condividere con la platea i ricordi del dottor Bini, a concludere la serata il nipote del dottore, Giovanni Collamati, che a nome di tutta la popolosa famiglia ha ringraziato la comunità per portare avanti il ricordo dell’operato e della vita del nonno.

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