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Cronaca

JESI Slogan del duce: «Così quella scritta non può restare»

scritta duce ufficio anagrafe

Intervengono l’Istituto Gramsci di Jesi, il Centro cooperativo mazziniano, il Circolo Sandro Pertini, il Coordinamento per la Democrazia costituzionale di Jesi e Vallesina “Rodotà” e l’Anpi

JESI, 23 maggio 2021 – L’Istituto Gramsci Sezione Jesi – Vallesina, il Centro Cooperativo Mazziniano, il Circolo Cultura Politica Sandro Pertini, il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Jesi e Vallesina “Stefano Rodotà ” e l’Anpi Jesi-Vallesina intervengono sulla scritta del periodo fascista comparsa sui muri dei locali dell’Ufficio Anagrafe e per la quale l’Amministrazione comunale ha presentato un progetto di restauro alla Soprintendenza.

Un pensiero, quello delle associazioni, riportato anche su manifesti affissi in città.

«La scritta non avrebbe ragione di essere, ma dato che cancellarla innescherebbe polemiche pretestuose, che si accompagni con una didascalia che racconti perché è lì, senza lasciarla alla mercé dei nostalgici. La consigliera Cercaci ne è rimasta tanto colpita da chiederne la conservazione come documento di grande importanza storica e, a suo dire, elemento utile a favorire la riappacificazione, motivo quest’ultimo che i fascisti rispolverano quando torna loro utile».

L’ufficio anagrafe

«Non vorremmo che l’interesse a conservare e tramandare l’epitaffio risieda solo ed esclusivamente in quella firma: Mussolini. A pensar male si fa peccato, ma… sbagliamo? – proseguono. – Se così fosse allora noi suggeriamo una più attenta analisi in modo da far risaltare meglio la figura del firmatario, qualcosa che mostri altri aspetti nascosti sotto quella scritta. Allora viene da chiedersi se, secondo il Codice Penale del 1930, la previsione dello sciopero come reato costituisca una glorificazione dell’italico lavoro e il carcere dia lustro al lavoratore che esercita un suo fondamentale diritto. Verrebbe da domandarsi se testimonia la potenza dell’italico lavoro il bombardamento, nella guerra di Spagna, della città di Barcellona da parte degli aviatori italiani, su aerei italiani, nel marzo del ‘38, prima grande città europea bombardata dall’alto, 1.000 furono i morti; anche questo un indiscutibile primato della nostra laboriosità, un tributo alla potenza lavorativa Italica? Che dire ancora della bella impresa compiuta da noi italiani nella città-convento di Debra Libanòs, Etiopia, nel maggio del ’37: preti copti, giovani diaconi, maestri, vennero sterminati con le armi costruite dal nostro lavoro indefesso. Sempre in quella terra andò in scena il gas, iprite e fosgene, raffinati prodotti della nostra industria d’avanguardia, impresa meritoria per soffocare la libertà degli etiopi, vanto e onore dei generali Graziani e Maletti, figli del lavoro».


Le associazioni riportano quindi un’affermazione del duce: “Di fronte ad una razza come la Slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Si possono più facilmente sacrificare 500.000 Stavi barbari a 50.000 italiani“.

«Le parole, pronunciate a Pola, sono dello stesso signore che firma la scritta dell’Anagrafe. E quanto lavoro daranno quelle parole agli impresari di pompe funebri. E il campo di concentramento per internati civili di Arbe, in Croazia, voluto e gestito dal Regio Esercito Italiano dal luglio 1942 all’8 settembre del 1943? In soli 15 mesi si stima che nel campo siano morte circa 1.000-1.400 persone, tra cui 163 bambini. L’autore della frase cara alla Cercaci, un bel giorno, decise di mettere nella fornace della guerra una nazione intera, alla fine perdemmo la guerra e anche mezzo milione di donne e uomini, giovani e vecchi, lavoratrici e lavoratori».


«Se, nonostante tutto, si vuole mantenere quella scritta, noi proponiamo che sotto venga inserita una frase che Benedetto Croce riportò nel suo diario nella tarda primavera del 1943: “L’Italia è un presente doloroso”, triste constatazione alla quale noi proponiamo una semplice aggiunta: “Saranno gli antifascisti a ridargli gloria e potenza».

«Che fare, in nome della Storia, se un giorno si riscoprisse su qualche parete W Binda o W Guerra?».

(e.d.)      

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