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Jesi Viaggio nelle “Città Invisibili” esplorando memoria e immaginazione

Festival Pergolesi Spontini, Sergio Rubini e Michele Fazio offrono un’incantevole interpretazione dell’opera di Calvino, tra jazz e narrazione

Jesi – Debbo all’amico artista, pittore, docente Carlo Cecchi se una notte d’inverno… stavo scherzando, in realtà volevo dire se mi regalò, facendomi innamorare, alla fine del secolo scorso, alcuni testi delle “Lezioni americane” di Italo Calvino, che conoscevo solo attraverso visconti dimezzati e baroni rampanti, riciclati recentemente ai miei nipoti liceali.

Gli debbo il fascino della ricerca, come missione, dell’ambiguità, dell’altra dimensione di un luogo, di una città, di una razza, di una via, di varie costellazioni. E di conseguenza l’attaccamento a un filo di racconto, o di racconti, che mi ha permesso di affrontare, l’altra sera, nella magnifica Piazza Federico II “Le città invisibili”, uno dei testi più ostici e difficili da interpretare (parlo per me) che mi sia mai capitato di incontrare sotto forma di recitazione. 

Lo definirei un punto molto alto che ha suggellato e fatto mettere la freccia a questa edizione del  Festival Pergolesi Spontini che, se e quando c’è, fa piacere. 

Non so ancora quale sia stata la molla perché sia nata tutta questa mia voglia di ripercorrere le orme anche metaforiche del grande Marco Polo verso la Cina, che ho sempre avuto come chiodo fisso, ma toglietevi dalla testa che c’entri il viaggio della presidente Meloni di questi giorni proprio in Cina.

L’ho detto un po’ per celia…, ma è stata quasi una sorta di purificazione seguire racconti scritti in periodi lontani e diversi, scaturiti dal rapporto, profondo e assiduo, del veneziano Marco Polo e Kublai Kan. Così che veri e propri momenti, che abbiamo conosciuto, in tantissimi anni di lettura, dalla narrazione di viaggiatori viaggianti dal romanticismo ad oggi, per finire con Sepulveda e con Folco Maraini, sono ritornati in mente. 

“Marco ritrova, racconta, reinventa raschiando il fondo della memoria, le figure di molte città, per raccontarle al Khan, potente imperatore assetato di notizie sul suo immenso impero. Tutte hanno nomi di donne, tutte si sdoppiano e si dirigono verso disordini e catastrofi sempre maggiori, viaggiando per spazi che non appartengono alla ragione ma all’invisibile campo dell’immaginario”. 

Chissà se prima o poi riusciremo a trovare, dentro ciascuno di noi, quell’inferno “antitetico all’inferno reale che  abitiamo tutti i giorni”.

Questo spettacolo che ci ha accompagnato all’uscita pieni di dubbi esistenziali e anche di un certo pessimismo, è ispirato quasi totalmente all’opera di Italo Calvino, e ha proposto un misurato ed elegante affabulatore, Sergio Rubini che compie, senza affondare troppo la lama del sentimento in alcuni dei tanti ricordi particolari che fa riaffiorare, un viaggio affascinante nei cunicoli della nostra mente, sostenuto dagli echi jazz del pianoforte di Michele Fazio. Ottimo e coinvolgente musicista.

Ideazione a cura di Elena Marazzita, adattamento a cura di Cosimo Damiano Damato, produzione AidaStudioProduzioni

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