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Memorie Dal Lago Maggiore insegnante dedica un libro a Falconara
Valeria Biraghi ricorda ancora i colori e i profumi della città negli anni ’60, quando bambina vi passava le vacanze estive
22 Maggio 2024
Falconara – Leggere ricordi e aneddoti della propria città è sempre inebriante, tanto più se a scrivere è una donna che a Falconara non ha mai vissuto ma che alla città è molto legata perché nei primi anni ‘60, da bambina, vi trascorreva le vacanze estive.
Valeria Biraghi, laureata in lettere classiche e insegnante per molti anni in istituti scolastici del lago Maggiore, ha scritto “Ricordo di una città di mare”, un testo poetico e romantico per far riemergere i sapori, i profumi, i colori di Falconara di oltre 60 anni fa.
«Queste – scrive la docente – sono le ultime immagini di un paese di mare negli anni del dopoguerra, raccontate con emozione a me stessa per non dimenticare».
E in effetti Valeria Biraghi suscita emozioni e nostalgia quando ricorda «le casette di mattoni rossastri affacciate sulla Nazionale e sugli scogli, imbastiture lunghe di massi rocciosi che si oppongono alla voracità del mare, si susseguono dalla maleodorante raffineria fino ad Ancona».
Oltre all’insegnamento si è sempre dedicata alla pittura, organizzando numerose mostre personali e collettive, scrive di una Falconara che si estende sulla collina colorata di giallo dai campi di granoturco, girasoli, alberi dalle foglie inaridite, sterpaglie che invadono campi incolti.
«Di fronte a Falconara sfilano all’orizzonte le petroliere che accompagnano i pensieri verso l’altrove, verso itinerari mitici, fra le isole e le città omeriche, la terra dei faraoni, le bianche spiagge sabbiose di Tangeri e di Casablanca fino alle Colonne d’Ercole».
La Falconara che lei racconta aveva ancora il suo cuore nel Caffè Bedetti sempre affollato.
«Di fronte a una vetrina ricolma di pastarelle, il barista, baffetti alla Clark Gable, sta alla macchina del caffè espresso che serve in tazzine di vetro appannato. Al tintinnio dei cucchiaini si sovrappongono le parole tagliate del dialetto marchigiano – namo, famo, vedemo – di ragazzi e ragazze con in mano il cono gelato da venti ricoperto di panna montata».
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