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Olimpiadi Dall’Argentina all’Oro passando per Jesi, la parabola di Julio Velasco

Appena trentunenne allenò la squadra jesina dal 1983 al 1985, prima del passaggio a Modena, per giungere oggi al meritato e sospirato oro olimpico

Dulcis in fundo, la spedizione Olimpica azzurra si chiude con l’oro conquistato dall’Italvolley femminile.

Un trionfo che ha tenuto incollati allo schermo milioni di Italiani nell’ora di pranzo agostana, tra la calura e il richiamo del mare per una volta mandato a quel paese. Tredici atlete fantastiche, e un uomo, un allenatore, un coach e tanto altro: Giulio Velasco.

L’italianizzazione del nome di battesimo è un birignao dovuto all’entusiasmo che vogliamo consentirci.

Il nostro racconto orgoglioso, volutamente non di cronaca (battute le statunitensi in finale 3-0), ci riporta a circa quarant’anni fa, più precisamente all’estate 1983, quando il trentunenne Julio da La Plata atterrò nel Belpaese, e a Jesi, per guidare la locale squadra di volley maschile targata Tre Valli, matricola nel campionato di serie A2. Di chi fu la paternità ufficiale di quella scelta, probabilmente non lo sapremo mai. Alcuni sostengono che la dritta venne dal palleggiatore argentino della squadra Waldo Kantor, poi affermatosi a livello internazionale. Altri attribuiscono con convinzione il merito a Giuseppe Cormio, jesino doc, allora ds del Club e a tutt’oggi leader indiscusso dei manager pallavolistici. Nei giorni scorsi, Tarcisio Pacetti, factotum della pallavolo falconarese, ha dichiarato di essere stato lui a suggerire quel nome ai cugini di Jesi. Prendiamo atto, e in fondo il dubbio in questo caso ha il suo fascino: perché inserire per forza un punto esclamativo in una piccola vicenda sportiva che assume la forma di un verso poetico?

Quello che sappiamo con certezza, invece, attraverso testimoni oculari dell’epoca e assidui frequentatori di quell’ambiente, è che l’impatto di Velasco con la nostra realtà, inizialmente andò ad abitare con la famiglia a Pianello Vallesina, fu da subito devastante. Un giovane rivoluzionario, per certi versi un visionario, determinato nel cambiare i metodi di allenamento, l’approccio all’evento sportivo, maniacale nella cura dei cosiddetti dettagli.

Due annate sulla panchina jesina, una promozione in serie A1 sfiorata, una passione che cresceva, quasi incontrollabile. Si giocava alla Palestra Carbonari: un catino infernale dove sui gradoni non sarebbe caduto uno spillo. Il Palasport era ancora un’idea, o meglio un sogno. Se la volontà politica del moderno impianto di via Tabano è tutta da ascrivere al compianto assessore Leonello Rocchetti, una parte del merito va anche attribuita di conseguenza o in principio a Giulietto.

Per lui si aprirono le strade verso Modena, dove vinse tutto e plasmò la generazione dei fenomeni. La nazionale italiana fu l’approdo naturale e con gli occhi di tigre conquistò il mondo.

Il suo palmares è una collezione sterminata di trofei in cui mancava soltanto l’oro Olimpico. Obiettivo raggiunto oggi, 11 agosto 2024, a 72 anni, sfatando quella che sembrava una maledizione. Il cameo perfetto sopra una torta enorme e deliziosa.

Chi vince esulta, chi perde spiega, ci ha insegnato Velasco, e mentre alziamo in aria i calici con annesse bollicine, ci piace ricordare e citare a chiare lettere alcuni personaggi che hanno cresciuto generazioni di ragazzi tra schiacciate e valori, e ci scusiamo in anticipo se dimentichiamo qualcuno.

Il numero uno di allora Sandrino Casoni, che avrà gioito dal cielo, o Alberto Santoni, Romano Piaggesi o Paolo Giardinieri, ancora impegnati nelle Società di pallavolo del territorio, il presidente del Volley Club Jesi Mario Rango o il nostro collega di penna Gianni Angelucci, a quel tempo addetto stampa del sodalizio e che in tante serate ha coccolato il giovane Julio con la divine arti culinarie della moglie Lioria. Qualche lacrima commossa sarà uscita dai loro occhi, ne siamo certi.

Da Atene a Parigi, dall’Argentina all’Olimpo passando per Jesi: la storia è lunga ma il passo è breve.

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